martedì 13 dicembre 2011

Scorci d'estate / 2 Siamo tutti sulla stessa barca



In riva al mare, Babi sembra concedermi un secondo, preso in non so quale tentativo di abbracciare l’intera fauna marina, quando, crogiolandomi con un orecchio sempre pronto a constatare la fine del paradiso, vengo profondamente urtata da una visione spaventosa: un barcone turistico così stipato di gente da farli apparire a mazzi, trattenuti a fatica dalle ringhiere, con una musica così alta e così stupida da oscurare l’orizzonte, perché si sa, l’idiozia può far male.
Il natante ci mette troppo, a sparire dalla mia vista dopo aver attraversato la baia da un capo all’altro, ci mette esattamente tutto il tempo che mi rimaneva prima di tornare madre tuttofare (“mammaa, ma cos’era?”). E osa ripassare e ripassare, più volte nella giornata, con persone, mi auguro per loro, sempre diverse e sempre incredibilmente contente di agitarsi come pesci nelle reti.
L’amarezza fa riflettere: e se degli scafisti congegnassero questo piano per portare poveracci da una riva all’altra del Mediterraneo?
Se, dopo aver raggranellato qualche migliaio di dollari indebitando l’intero parentado, e attraversato deserti infiniti ammucchiati nel bagagliaio, frontiere crudeli appesi sotto a un camion, controllori corrotti, fame e freddo, i migranti si trovassero ad essere ammucchiati su una nave a forma di terrazza, fustigati da musica dance a tutto volume, e fossero anche costretti a raccogliere le forze per fingere frizzante allegria, in modo da passare le frontiere inosservati, e si trovassero di notte, abbandonati sulla riva di un mare europeo, vestiti come cubisti e storditi dall’esperienza inspiegabile? Forse, usare la stupidità come deterrente all’immigrazione sarebbe vincente: quel che è troppo è troppo. 

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