martedì 13 dicembre 2011

Scorci di brandelli d'estate - Negli occhi il mare



Sto elaborando il lutto del rientro, forse scrivere mi può aiutare, come il lettino dello psicanalista.
Eccezionali giorni a Sabaudia, nella casa di un caro amico che, periodicamente, disturbiamo con richieste di prestito della magnifica villa, sempre accordate con gentilezza, subito prima di beccare, su Repubblica TV, un reportage sulle pesanti infiltrazioni camorristiche nella ridente cittadina.
Ci siamo felicemente venduti al lettore di DVD per l’auto, che interpretavamo come una debolezza negli altri genitori di figli scatenati, ma provatevi voi, 760 chilometri con l’eterna domanda: quando arriviamo? che scatta dopo i primi 5 minuti e non smette proprio mai.
Abbiamo visitato lo zoo di Roma, destinazione obbligata per qualunque genitore voglia salvarsi la vita a Ferragosto, sostenendo Babi nel momento di estrema delusione in cui ha scoperto che gli animali non si trovano tutti insieme come nel Libro della Giungla – modello “e la gazzella non dormirà molto bene”, e gli elefanti tendono a non cantare in pubblico.
Babi ha imparato a buttarsi in mare a occhi spalancati, riemergendo scompostamente ma con uno sguardo di gioia totale; durante una esplorazione subacquea di pochi secondi con addosso maschera e tubo, ha visto un granchio e, scegliendo se bandire dalla sua vita mare o maschera, ha giustamente dismesso quest’ultima, in base al concetto lontano dagli occhi lontano dal timore del cuore.
Noi abbiamo apprezzato la spiaggia libera, muniti di lettino sfilacciato e ombrellone da giardino (poiché di trascinare per le dune la base di cemento non se ne parlava, si è scelto di infilarlo a forza nella sabbia contro la sua natura), scoprendo che le strette lingue di sabbia libera tra gli stabilimenti sono laggiù estremamente meno frequentate e più ariose degli assurdi appezzamenti in concessione, in cui i lettini sono disposti incollati come un'unica brandina gigante, e in cui, rincorrendo l’ombra che vaga per la giornata, peraltro pagata a peso d’oro, si finisce distesi sul thermos del vicino.
Abbiamo mangiato numerose mozzarelle fregandocene delle infiltrazioni casalesi nel ramo bufala e dell’arresto di una quarantina di veterinari compiacenti, ripetendoci il mantra “che male può fare, per 10 giorni”.
Abbiamo provato una pizzeria nuova (quella abituale era casualmente stata messa sotto sequestro), curiosamente annessa a una casa di riposo e allegra esattamente come ci si aspetta la mensa della stessa, con giochi per bambini che parevano esplosi, abbandonati lì, né rimossi, né riparati, forse per sollecitare un sano confronto con la quotidianità dei bambini di Gaza.
Abbiamo condiviso la casa con cari amici con figlio coetaneo di Babi, e ci siamo persi in chiacchiere mentre i due nanerottoli litigavano aspramente, senza disdegnare l’uso delle mani, su concetti tipo: la scala è bella, la scala è brutta, oppure: basta! Ancora!, salvo poi cercarsi disperatamente appena uno dei due si allontanava.
Abbiamo imparato a mettere un Babi totalmente refrattario al sonnellino davanti a quell’insopportabile orso ritardato Uinni dei Pù, per goderci il riposo pomeridiano a camera spalancata alla corrente lacustre, prima di affrontare di nuovo la spiaggia, e venir svegliati per la merenda dal suddetto Piscialletto che aveva vegliato durante il nostro sonno.
Abbiamo letto tanto tanto, rubando attimi sabbiosi e attimi notturni, e abbiamo momentaneamente ripreso un normale ritmo sonno-veglia, che si è dissolto appena è tornata ad occuparci la mente l’imminente stagione lavorativa.

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