martedì 13 dicembre 2011

Scorci d'estate / 3 La solitudine del velista



La mia esperienza insegna che la passione per la vela sia uno di quei piaceri che trascina invariabilmente l’uomo* in una solitudine profonda, il più delle volte senza desiderarlo, e quasi senza rendersene conto.
Tutto inizia con l’acquisto di una barca a vela, della più varia metratura, inizialmente accolto dall’ignara famiglia con pari soddisfazione di tutti i membri, pregustando il divertimento, o l’avventura, o il prestigio sociale.
Poi, la prima spedizione. E le prime crepe. Il velista imbarca la famiglia, e partono immediatamente i sacramenti: anche l’uomo più mite e gentile nel quotidiano, su una barca a vela diventa un cerbero dannato, e parla una lingua incomprensibile ai più, fatta di orza! Il carrello di scotta della randa! bolina larga! La deriva!
Più numerosi sono i giovani imbarcati e sottoposti a sevizie, più la moglie si illude ancora di potersi godere la giornata. Fino a che il boma non le colpisce la nuca, e la randa non le oscura il sole più o meno ogni dieci minuti, lasciandola in balia della brezza polare mentre una muta di pazzi le cammina addosso per afferrare scotte, cime, ancore all’urlo di “impediti! Siete degli impediti!”. Se figli non ce ne sono, o non sono abbastanza, anche la signora verrà trascinata nel turbine agli ordini di un ormai irriconoscibile maschio alfa.
Se alla vela si unisce la passione per la pesca, il matrimonio è in serio pericolo già con la prima gita: al termine della giornata, mentre il velista siederà al circolo, con un gin tra le mani, a raccontare di pesci lunghi come semirette, la signora si ritroverà con duecento cefali da pulire, o millecinquecento seppie grandi come fragole da liberare dell’osso, perché non vi sia confusione di ruoli tra mozzi e capitani.
Quando, dopo un numero generalmente breve di uscite, la moglie si rifiuterà di rivivere quell’inferno, dichiarandosi dispiaciuta di aver già accettato l’allettante offerta di un weekend in coda sulla Salerno – Reggio Calabria, i figli ci proveranno ancora un po’, in parte affascinati dalla doppia personalità paterna, in parte desiderosi di guadagnarne l’approvazione, e infine, se maschi, ancora incredibilmente convinti di accrescere il proprio sex appeal con una barca sotto i piedi.
Ma viene il giorno in cui la famiglia cede al completo, e al velista non resta che cercare appassionati come lui per condividere richiami gutturali ed esperienze di mare. Peccato che ognuno di questi appassionati abbia la propria barca, vuota, enorme e silenziosa, e ognuno rifiuti categoricamente di riconoscere all’altro un’autorità immeritata accettando un ruolo da secondo sullo scafo altrui.
Così, il mare è pieno di uomini soli su barche fuori misura, la cui assenza, se cala il vento all’improvviso immobilizzandoli in mezzo alla baia, viene notata dalla famiglia solo verso sera, quando la tranquillità si protrae troppo per non sembrare innaturale.

* tutto questo può accadere anche a generi invertiti, ma nella mia esperienza, a farsi stregare da questo baratro, sono sempre gli uomini, e, arbitrariamente, riconosco alle donne sempre un po’ di più sale in zucca quanto alla scelta dei loro passatempi  

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